L'ESSERE E L'APPARIRE
Platone e Aristotele
hanno messo in luce due effetti diversi,
ma entrambi caratteristici,
della situazione teatrale (e oggi filmica)
EMOZIONI – SENTIMENTI – PASSIONE
La visione positiva
Aristotele espone la sua idea di Teatro nell'opera La Poetica
(“La vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualcosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare. Dell’universale possiamo dare un’idea in questo modo: a un individuo di tale o tale natura accade di dire o fare cose di tale o tale natura, in corrispondenza alle leggi della verosimiglianza o della necessità; e a ciò appunto mira la poesia, sebbene ai suoi personaggi dia nomi propri”)
dividendola in due testi La Tragedia la Commedia. Nella Tragedia aristotelica s'imitano e si rappresentano le azioni umane. Le verità narrate non sono verità storiche, ma rappresentazioni dell’andamento delle cose umane secondo verosimiglianza e necessità. Le virtù umane vengono rappresentate seguendo un ordine razionale e in ogni opera teatrale esiste l’unione fra lo spazio e il tempo.
Catarsi, pietà e terrore sono sentimenti che smuovono l’animo del protagonista e dello spettatore. E’ la catarsi che provoca il piacere…
Per Aristotele, chi assiste alla tragedia, prova pietà per l’eroe che apparentemente non merita i mali che gli accadono, e terrore per se stesso, al pensiero che potrebbe capitargli la medesima sorte. Una volta che si arriva allo scioglimento della vicenda tragica, i fatti hanno una spiegazione razionale e per questo, pietà e terrore sono acquietati. Mediante la catarsi, la tragedia è riscattata dalla condanna di Platone secondo la quale essa è nefasta, priva di verità e pericolosa per l’equilibrio affettivo dell’uomo.
Sigmund Freud parla di “cura dell’anima come teatro-terapia” utilizzando le immagini teatrali al fine di rendere comprensibili le sue teorie.Descrivendo i processi psicoanalitici anche Freud parla di”Catarsi”.Quali sono,secondo lei, le analogie fra la concezione di Catarsi secondo Freud e la Catarsi aristotelica?
”Il concetto di catarsi aristotelica è stato letto in chiave psico-analitica, cioè come sfogo liberatorio delle emozioni oppure in chiave idealistica,come purificazione delle passionie dei sentimenti attraverso la contemplazione disinteressata propria dell’arte. Freud sostiene che l’Arte sia un modo per nobilitare la libido. La libido può essere considerata la Bellezza al servizio dell’attrazione erotica. Secondo Freud ogni opera d’arte è la soddisfazione delle passioni e dei suoi sensi inibiti che stanno nella fantasia d'ogni artista. Freud ha dunque preso tutti i miti greci analizzandoli in chiave psicanalitica. In Psicanalisi, la Catarsi non è parte della rappresentazione artistica ma è un metodo terapeutico utilizzato per guarire i pazienti che hanno dei seri problemi psichici”.
E’ evidente quindi che per Aristotele, la Catarsi è parte della tragedia greca ed è un metodo per suscitare la pietà, il terrore e la purificazione dai mali nell’animo degli spettatori. Il concetto di Catarsi aristotelica dunque riporta la nostra mente non solo all’ambito teatrale ma analizzando nel profondo tale teoria, ci accorgiamo che di ciò si parla anche nella dottrina cristiana utilizzando come protagonista principale Gesù Cristo. Se pensiamo alla rappresentazione della crocifissione e morte di Gesù in cui è centrale l’immagine di un uomo comune che decide di morire per compiere quella che lui stesso chiama “volontà del Padre”, ci accorgiamo di quanto speculari possano essere le due rappresentazioni. Gesù era figlio di un falegname dunque un personaggio appartenente al popolo, un uomo come tanti venuto dalla folla che poi diventa eroe e salvatore del mondo e che con la sua morte genera la gioia e la felicità e nello specifico la redenzione dal peccato.
FALSITA' – COPIA - IMITAZIONE
La visione negativa
Com’è noto, Platone, nel suo dialogo di carattere politico intitolato Repubblica, esprime un giudizio negativo sull’arte e in particolare sulla pittura e sulla scultura. I pittori e gli scultori, a suo giudizio, imitano il mondo sensibile.
Per esempio, quando un artista scolpisce una statua che rappresenta un atleta, egli imita un atleta reale e vivente. D’altra parte, per il grande filosofo greco, tutti gli oggetti sensibili di questo mondo sono a loro volta copie o imitazioni imperfette delle idee, che costituiscono la vera realtà. L’atleta vivente è così un’imitazione dell’idea dell’atleta (o atleta ideale).
Ne consegue che l’arte è un’imitazione di un’imitazione, una copia di una copia: allontana ulteriormente l’uomo dal vero (cioè dal mondo delle idee). Gli artisti dovranno dunque essere banditi dalla repubblica ideale ipotizzata da Platone.
Ma Platone non si limita a criticare l’arte imitativa. Infatti, oltre alla pittura e alla scultura, condanna anche la poesia e la tragedia per la loro funzione di suscitare di emozioni. Platone ritiene che l’azione drammatica proposta dai poeti tragici nelle loro opere, interessando gli spettatori alle passioni violente rappresentate sulla scena, incoraggi in loro proprio tali passioni. E poiché nell’ottica platonica è necessario eliminare, o almeno limitare, il crearsi di emozioni e di passioni all’interno dell’animo umano, sottomettendole al dominio della ragione, è particolarmente condannabile il suscitarle con opere fittizie.
CRITICA
Risulta infondata, per Aristotele, l' accusa mossa da Platone all’arte (e in particolare alla poesia tragica), che essa, cioè, sia fonte di corruzione e di disorientamento morale. Aristotele, al contrario, crede che le tragedie svolgano una funzione educativa, di purificazione, cioè una funzione catartica.
Sul significato esatto di tale catarsi (in greco, katharsis), o purificazione attraverso l’arte, sussiste tuttora un acceso dibattito fra gli studiosi. Alcuni interpreti ritengono che le tragedie operino, per Aristotele, una purificazione delle passioni. Secondo questa interpretazione, la tragedia sublima le passioni: rappresentandole nella loro essenza universale, la tragedia mette fra parentesi ciò che esse hanno di deteriore nella realtà della vita quotidiana.
Altri studiosi, invece, pensano che la catarsi operata dalla tragedia vada intesa come una purificazione non delle, ma delle passioni. Secondo questa seconda interpretazione, la rappresentazione degli stati emotivi nella finzione scenica provoca nell’anima dello spettatore un’emotività altrettanto fittizia.
In base a tale interpretazione, il trattamento che, grazie alla tragedia, viene riservato alle emozioni è, in un certo senso, terapeutico e omeopatico: infatti consiste nel curare il temperamento più o meno emotivo dello spettatore per mezzo delle emozioni stesse.
Ad avvalorare questa ipotesi interpretativa sta il fatto che il termine catarsi impiegato da Aristotele deriva dalla medicina greca (modello di molte teorie filosofiche) dove indica l’eliminazione degli umori in eccesso, che alterano la corretta proporzione e l’equilibrio dei quattro elementi. Questa cura, con l’allontanare gli umori perturbanti, produce nel malato uno stato di benessere e di alleggerimento.
IL CINEMA
PER ARISTOTELE E PALTONE
È possibile trasferire i due diversi punti di vista di Platone e di Aristotele dall’ambito del teatro tragico a quello del cinema contemporaneo. Infatti, la tragedia costituisce il corrispettivo antico dell’odierno spettacolo popolare rappresentato dal cinema.
In sintesi, per un odierno filosofo di stampo platonico, assistere a un film che ostenta scene violente sullo schermo suscita nello spettatore la pulsione a imitare quello che ha visto. Invece, per un odierno “aristotelico”, tale visione libera il pubblico potenzialmente violento dalla sua carica aggressiva.